Un donna di mezza età

Una donna di mezza età

Quanto il mio mondo è diverso da quello di Anita, quanto siamo distanti, quanto siamo diverse, davvero solo due generazioni?! Guardo la nuova pubblicità di una nota azienda di abbigliamento italiana, fiore all’occhiello dell’industria manifatturiera della penisola, con una Julia Roberts di cinquant’anni, più splendente che mai, e mi vengono molte riflessioni assolutamente diverse in mente.

Julia Roberts è l’icona dei tempi moderni, che l’astuta azienda ha scelto come testimonial, perché piace sia agli uomini che alle donne, soprattutto forse alle donne; è la Marilyn Monroe dei nostri tempi, che, pur non essendo assolutamente come le persone normali e pur essendo ben al di sopra della comune bellezza femminile, mostra una semplicità e una naturalezza, che le donne di tutte le età adorano; l’adorano perché permette loro di illudersi, anche solo per un attimo, di potersi immedesimare e sentirsi un po’ belle come lei. Inoltre ha cinquant’anni, un’età che le donne affrontano da sempre con molta fatica, forse negli ultimi anni ancora di più, perché, per ovvi motivi, si sentono invecchiare e non possono più contare tanto sul loro aspetto fisico.

Ancora più geniale quindi la trovata della nota azienda, che non punta più soltanto sulla teenager o sulla giovane bellezza, ma anche e forse soprattutto sulla cosiddetta donna di mezza età, che, detta così fa un brutto effetto, quindi forse è meglio definire la donna matura, che può tranquillamente continuare ad adornare il proprio corpo, con accessori ed abiti che la facciano sentire ancora bella e piacevole, perché è più importante sentirsi belle a 40-50 anni, che non a 20! Julia Roberts ripropone se stessa, che fa acquisti ed esce dal negozio con diversi sacchetti, come nel film di quasi trent’anni fa, che l’ha rivelata al mondo intero nel suo splendore, e manda così un messaggio: il tempo passa per tutte, anche per lei, ma il suo sorriso, famoso in tutto il mondo, è ancora più smagliante, sicuro, deciso, come dovrebbe essere quello di ogni donna, che, consapevole delle proprie rughe e smagliature, si accetta per quella che è.

Marilyn Monroe a cinquant’anni non ci è nemmeno arrivata ed ai tempi di Anita le donne mature non erano certo così sostenute dalla società, perché cominciavano a scendere la china e per loro non c’era certo spazio per pensare alla bellezza; nemmeno per le dive, che infatti spesso si ritiravano dalle scene, per evitare critiche e confronti dolorosi. Quindi la domanda che mi pongo, dopo tutto questo prologo, è se davvero siano bastate due generazioni per cambiare tanto le cose, per fare in modo che le donne siano sufficientemente considerate, che la loro importanza sia ritenuta finalmente fondamentale, per l’andamento della società. Mmh… forse no, forse Anita e le altre tre uniche studentesse di Medicina del suo anno a Genova erano molto più moderne di una Julia Roberts o di tutte quelle, come noi adesso, che pensano che l’emancipazione femminile abbia fatto passi da gigante.

In realtà infatti quella è una pubblicità e serve solo per vendere più prodotti, quindi è ingannevole, non può essere un quadro sull’emancipazione femminile; oppure può essere vista come un tentativo ben riuscito, anche se magari non voluto, di farsi sentire, di continuare a dichiarare che le donne, soprattutto a cinquant’anni contano, anche se devono fare qualcosa di apparentemente poco importante come scegliersi le calze o i collant.

E perché proprio i collant? Non è un caso. I collant sono l’espressione massima della femminilità. Quel collant che sembra essere tornato prepotentemente in passerella, in un momento così delicato in cui da una parte del mondo si indossano ancora e sempre di più le mini gonne e dall’altra parte del mondo si indossano i burka o altri veli che nascondano le forme. Un momento in cui queste due visioni del corpo femminile sono a confronto e fanno parte di un discorso molto più ampio, sulla dignità della donna e sul rispetto del genere femminile. Un mondo davvero confuso in cui alcune culture orientali mal sopportano proprio questa “libertà” della donna, tipica di alcune culture occidentali.

Anita era una pioniera, l’ho già detto, una piccola Rita Levi Montalcini, che credeva molto più nella propria intelligenza, piuttosto che nella sua bellezza, e che, certamente nel suo piccolo, ha contribuito, come tante insieme a lei, all’evoluzione del pensiero e alla considerazione che si ha adesso del ruolo femminile nella società occidentale. Purtroppo, Anita, con rammarico, ti devo confessare che, anche se Julia Roberts sorride in modo straordinario, per noi donne ordinarie, che faticano a sentirsi straordinarie, c’è ancora molta strada da percorrere, soprattutto se abbiamo quell’età in cui essere chiamate “signora” è più che normale. Siamo ancora scomode per l’altra metà maschile, siamo ingestibili, sottopagate, spesso considerate a torto meno brave dei nostri parigrado, e, in molti casi purtroppo, maltrattate e usate come merce. Forse ti aspettavi qualcosa di meglio, per la fatica che hai fatto tu, forse meritavi passi avanti veri, non solo una gran gioia nel comprarsi le calze!

A dir la verità possiamo comunque essere soddisfatte, soprattutto se pensiamo ad altre donne come noi, che vivono in zone del mondo, dove l’esistenza è davvero complicata, in particolare per loro. Noi ce la mettiamo tutta, forse siamo meno coraggiose di voi, donne del ’45, maestre di coraggio e di dignità, ma, nella fatica di tutti i giorni, di farci accettare per quello che valiamo, andarci a comprare i collant è davvero un gesto consolante, nella sua semplicità!

P.S. Aggiungo che sono stata testimone per caso della bravura di quelle donne, che tengono realmente in piedi l’industria manifatturiera dell’abbigliamento italiano, che ha fatto la storia di questo paese; e ti potrei dire, Anita, che davvero saresti orgogliosa di loro, perché, in totale anonimato, lavorano con una professionalità e un impegno che tutte le case di moda, anche francesi, ci invidiano. Quelle sono donne mature, vere signore, che magari solo raramente si vanno a comprare un collant, ma dovresti vedere la loro soddisfazione nel veder crescere un abito, la loro serietà nel lavoro… loro sì possono dichiararsi, in modo deciso, degne di essere tue discendenti! E allora grazie a tutte queste donne, dalle quali mi sento gloriosamente rappresentata e che, come te, costruiscono silenziosamente e con umiltà la storia delle donne italiane.

Questo articolo è dedicato a tutte le lavoratrici di un’importante azienda del parmense, che lavora per una nota casa di moda italo-francese, che ho avuto il privilegio di vedere all’opera. Grazie perché mai dimenticherò la vostra professionalità e la passione che mettete nel lavoro, ma soprattutto il mio fascino nell’assistere alla crescita di un capo, attraverso il lavoro di tante mani esperte, dal primo disegno alla confezione. Complimenti!