Le ragazze del muretto

Quando ero ragazzina esisteva un telefilm che si intitolava “I ragazzi del muretto”, io non lo guardavo mai, non lo sopportavo granché, sapevo di cosa trattasse, ma forse ero troppo piccola per interessarmi tanto. Trattava di amicizie di scuola, alle superiori credo.

Quelle del titolo invece siamo io e la mia migliore amica, che, non volendo siamo state per anni “ragazze del muretto”, perché per anni ci siamo sedute tutti i giorni su un muretto che si trovava esattamente a metà, come distanza, tra casa sua e casa mia. Era come il bar degli amici, solo che eravamo solo noi due e quel muretto lo occupavamo solo noi. Ce lo ricordiamo ancora e siamo rimaste, per fortuna, legate tanto a quel ricordo, che ancora adesso quando ci vediamo, sembra di tornare là… su quel muretto.

La parola muretto ormai sa quasi di antico, non perché di muretti non ne esistano più, ma perché oggi sono forse pochi i bambini che si trovano a chiacchierare su un muretto, o forse lo sembra a me, perché non sono più bambina. Ad ogni modo la parola muretto mi sembra quasi come la parola lavatoio, come se appartenesse ad un’altra epoca, come le 20 lire per comprare i dolcetti dal tabaccaio.

Non sono in vena di nostalgie, mi è solo venuto in mente che anche Anita, un po’ come me, aveva la sua “ragazza del muretto”: non si erano conosciute da bambine, ai tempi del muretto, ma sicuramente si saranno fermate a chiacchierare su qualche muretto di Genova, di cose importanti, ma anche di sciocchezze da ragazze. Si erano conosciute all’università e dovevano sentirsi fiere come delle eroine, perché ai loro tempi erano solo 4 le donne che frequentavano la Facoltà di Medicina a Genova. Erano amiche per la pelle, come si dice da ragazzi, si stimavano e si adoravano, avevano instaurato un legame che durò fino alla fine della loro vita.

L’altra era Ebrea e questo aveva un significato ben preciso durante il fascismo, Anita la aiutò a nascondersi con la sua famiglia in un garage nella periferia di Genova, durante il periodo più difficile, quello delle deportazioni. Quelle storie un po’ da film, che invece sono accadute veramente e che ancora oggi, quando le senti raccontare, ti impressionano. Lei si salvò e fu grata ad Anita per tutto il resto dei suoi giorni. Ma il legame non era basato su quello, era già stretto e forte da prima e Anita l’avrebbe salvata anche dal fuoco, se fosse stato necessario. Erano inseparabili, anche in vecchiaia si facevano delle telefonate che duravano a lungo, come fanno le vere amiche. Forse, dopo la famiglia, fu il legame più stretto per Anita: per lei forse era anche un po’ l’estensione di se stessa, della sua intelligenza, del suo essere, quasi come guardarsi allo specchio e riconoscersi a metà, ma la metà giusta, quella che si apprezza.

Io la mia “ragazza del muretto”, la mia metà dello specchio, ce l’ho ancora e farò come Anita, me la terrò per sempre accanto fino alla fine dei nostri giorni; non siamo più sul muretto, ma lei è sempre lì ed è come se ci fossimo ancora sedute.

Dedico questo post a tutte ‘le ragazze del muretto’, di tutte le età e naturalmente alla mia!!!