Non sono una signora

“Non sono una signora” cantava la Berté, era uno dei pezzi che adoravo, la cantava a squarciagola e con una fierezza da far invidia. Era il 1982, avevo solo cinque anni, ma mi dava una carica, che mi veniva voglia di ballare per tutta la stanza! Era fantastica, non per niente l’aveva scritta Ivano Fossati!
L’altro giorno camminavo per andare dal giornalaio e, dato che ero di fretta, tagliai e presi la via del prato, invece di seguire il marciapiede. Mi ritrovai a guardare i miei sandali, che passavano in mezzo all’erba e sentivo sui piedi la dolce sensazione di trovarmi a piedi nudi in mezzo ad un prato, in estate. “Non sono decisamente una signora”, mi venne da pensare, una signora non avrebbe mai preso la via del prato, col rischio di sporcarsi i sandali o i pantaloni o di bloccarsi col tacco. Quest’anno compio quarant’anni e dovrei finalmente esserlo una signora, si addice alla mia età.

Anita non ne aveva ancora quaranta quando ha affrontato il viaggio in cerca di Mario, non ne aveva ancora quaranta quando andava in bicicletta sotto le bombe da Genova a Borgofornari, dove la famiglia era sfollata, non ne aveva ancora quaranta quando ha nascosto i suoi figli sotto il letto e affrontato i Tedeschi ubriachi, che pretendevano una cena. Io non credo che sarei stata capace di affrontare tutto quello; forse ognuno di noi ha una forza dentro di sé, che può essere più o meno, a seconda del carattere, forse invece sono le situazioni di fronte alle quali ci troviamo, che ci trasmettono la forza per affrontarle, forse uno il coraggio ce l’ha fin da piccolo o forse se lo costruisce man mano.

Anita era una donna forte, coraggiosa, ma probabilmente tutto il coraggio che ha dovuto sfoderare, per superare quelle situazioni così difficili, l’ha consumata e l’ha resa più fredda, rigida. Tutti noi di fronte a grandi prove della vita, una volta superate, ci ritroviamo più rigidi, più coriacei, più insensibili, per autoconservazione, per non perdere pezzi di noi, per non essere nuovamente offesi da un altro dolore, da una nuova sofferenza.

Il mondo di oggi non è così difficile come quello di Anita, eppure anche oggi abbiamo le nostre montagne da scalare, i nostri ostacoli da superare e le nostre ferite da curare. Forse anch’io come Anita negli anni sono diventata più severa, mi sono irrigidita, per non soffrire più, per non essere così gratuitamente esposta al dolore, il mio fisico è meno elastico ed io con lui.

Forse… o forse no, forse ho imbrogliato il tempo, non fisicamente, è chiaro, ma mentalmente sì: scrivere “Anita” mi ha fatto esplodere e ritrovare la famosa linfa vitale di cui tutti parlano; non mi ha reso più giovane allo specchio, ahimé, ma mi ha sciolto tutta quella rigidità accumulata negli anni, mi ha permesso di dare meno peso a tante cose e dare importanza ad altre. Di ragionare su alcune cose vissute, di vederle con altri occhi: guardare nel passato è un po’ come guardare dall’alto, vedi gli avvenimenti da un’altra prospettiva e cambi l’opinione che ti eri fatta.

Anita, come me, non era una signora; certo, non metteva i pantaloni volentieri, solo gonne, portava i tacchi, anche se tacchi piuttosto bassi, ma non erano i tempi del tacco 12, si vestiva sempre in modo distinto e mai trasandato, ma, se c’era bisogno, era capace di adattarsi alle situazioni e di sporcarsi i pantaloni ed anche le mani!

Forse essere signore non è quello che intende la Berté, o meglio forse le vere signore non sono quelle che si vestono in modo distinto e non si macchiano, forse essere una signora vuol dire essere “…una per cui la guerra non è mai finita…” e che ogni giorno, con coraggio affronta le piccole difficoltà quotidiane, senza perdersi mai.

Di una cosa sono sicura: io non lo sono ancora diventata una signora e non credo che lo sarò mai, penso che continuerò a cantare a squarciagola e a passare per i prati!