Lois Lane non ha più bisogno di Superman

margot kidder

Lois Lane e l’ansia dell’industria dello spettacolo odierna di dare alle nuove generazioni dei modelli di donne con degli importanti attributi.

Quest’ultima è un’espressione che personalmente non adoro affatto, ma di recente è molto usata, ed è sicuramente efficace per spiegare in due parole un concetto più ampio.

In una di quelle sere in cui la tv non ti dà affatto soddisfazioni, nonostante abbia l’abbonamento a tutti i possibili pacchetti di canali, guardo stancamente un film che già so che non mi piacerà: “L’uomo d’acciaio“, insomma Superman, per dirlo alla vecchia maniera.
So già che non mi piacerà perché non c’è Christopher Reeve e, per dirlo alla romana, “t’ho detto tutto!”.
So che non mi piacerà, perché sarà pieno di effettoni speciali, che non mi incantano, più di quanto non facesse già il bel Christopher in calzamaglia blu, appeso ai fili in una posa plastica, davanti ad uno sfondo di cartone, mirabilmente dipinto.
So già che non mi piacerà perché, anche se non crescerò mai abbastanza per non adorare i supereroi, a tutto c’è un limite, anche alla mia voglia di essere incantata da sciocchezzuole.
So già che non mi piacerà perché in questo momento di vedere tanta violenza gratuita, anche solo sullo schermo, non ho molta voglia.

Perché lo guardo? Perché non c’è altro… una risposta che tutti noi nella vita abbiamo dato a parenti e amici almeno due o tre volte a settimana, più o meno quante volte abbiamo provato a sederci davanti alla tv.

Non so ancora che non mi piacerà per un altro importante motivo, che scopro dopo i primi fotogrammi.

Lois Lane, l’amata compagna di Superman, compare per la prima volta nei fumetti originali nel 1938 e già lì dimostra di essere una donna fuori del comune e una figura sicuramente moderna ed emancipata, non esattamente come tutte le donne appartenenti all’allora società occidentale.
È americana, e questo l’aiuta a vedere alcuni dei suoi ruoli rispettati ed il suo impegno sociale e civile preso ad esempio.
Vi saranno poi diverse trasposizioni, per il grande schermo, ma la più significativa, non solo per me, è stata quella di 40 anni dopo, nel 1978. L’intraprendenza e l’indipendenza della Lane del ’78 di fronte ad una società ancora maschilista, emergono maggiormente, perché messe a confronto con le fragilità di un uomo, Superman, la cui immensa bontà e purezza, gli permettono addirittura di essere equo nel suo giudizio verso il genere femminile.

Il Superman del 1978 non ama la sua Lois perché sorpreso dal suo carattere volitivo e dalla sua eccezionale bravura nella professione di giornalista, si innamora di lei per la sua “normalità”, perché nonostante debba sempre fare il doppio del lavoro e della fatica per dimostrare le sue capacità, ha anche dei momenti di estrema fragilità e debolezza. La Lois del ’78 è impaurita a volte, ma si fa forza, si rimbocca le maniche e va avanti; urla quando si spaventa e non le dispiace affatto essere salvata in volo dallo splendido uomo d’acciaio, così rassicurante.
La Lois del ’78, egregiamente interpretata da una nevrotica, bruttina e segaligna Margot Kidder, sicuramente non scelta per la sua avvenenza, incarna la figura della donna che, nonostante viva in un mondo dove gli uomini ancora detengono tutti i poteri, riesce a farsi strada, e non a gomitate, bensì ad articoli di giornale, nella più importante testata giornalistica di New York.

Insomma non più il modello Marilyn degli anni ’50-’60, ma la Barbra Streisand di Come eravamo (1973): una bellezza che si illumina al di fuori del corpo, fatta della personalità dell’individuo, della sua intelligenza, sensibilità, della sua forza e delle sue debolezze.
Basta corpo, basta estetica, ed in modo prepotente: corpo esile, quello della Lois del ’78, e caratterizzato da una magrezza, che non permette curve da nessuna parte; ma la sua verve e la sua personalità la rendono affascinante, quasi ammaliante, ma soprattutto un modello femminile di cui andare fieri. Le bambine del ’78 non devono guardarsi allo specchio per notare gli inestetismi della loro pelle o della cellulite, ma per guardare se stesse negli occhi e capire chi vogliono essere; il loro sguardo deve poter essere rivolto al futuro, che può finalmente caricarsi di sorprese, successi, avventura, ma anche sbagli, intoppi, difficoltà, e in ogni caso indipendenza, soprattutto dalla figura maschile, incarnata da un eventuale compagno o marito.

L’unico compagno, che la Lois del ’78 può avere accanto, è lui, Superman, l’unico apparentemente in grado di starle al passo, ma perché Superman non è solo forte, non è solo il più forte di tutti, invincibile, d’acciaio, di marmo, ma perché lui viene da un altro pianeta! Che idea geniale quella del ’78: farlo apparire anche straordinariamente puro e serio, tanto da considerare perfettamente al suo pari la sua compagna, nonostante lei non abbia superpoteri.

Lui ha capito tutto ragazze… e ti credo, viene da un altro pianeta! È l’unica possibilità, ve lo dico!

La storia è la stessa, cambia il punto di vista: non è lei che meriti di stare accanto ad uno come lui, perché è una grande donna, visione data dal fumetto originale; è lei che trova in lui l’unico uomo degno di starle accanto, perché lei è una gran donna e non può avere altri accanto, se non un super uomo.
La differenza è sottile, ma abbastanza importante.
Ed è davanti a lui che lei può mostrare i suoi difetti, le sue debolezze, il suo corpo non perfetto, insomma se stessa; può rilassarsi e lasciarsi andare, di fronte a lui, che ha le spalle così possenti ed un sorriso tanto conciliante. Il superuomo del ’78 però non è super per quelle spalle, in grado di difenderla, ma è super per quel sorriso, che è in grado di capirla, ed è a quello che Lois si arrende.

Di fronte alla Lois dei giorni nostri (2013) non so davvero che dire, la prima cosa che mi viene da pensare è: da quale pianeta gelido proviene?!
Cos’ha questa?! È quasi angosciante il suo sprezzo del pericolo e la sua spavalderia da donna normale con un coraggio da leoni, di fronte a qualunque evento della vita.
Quello che mi disturba non è l’atteggiamento da eroina, la mia vita è costellata di eroine, che, a turno, hanno costituito per me il modello a cui aspirare! Io adoro le wonder woman di tutto il mondo, adoro quelle “vere”, ovvero tutte quelle di film e serie tv, che, con forza fisica sorprendente e super poteri strabilianti, affrontano qualunque cataclisma e salvano il mondo; e adoro quelle reali, le donne normali, che ogni giorno, nonostante tutto, si alzano e, spinte da una forza, che non sanno neanche loro da dove venga, tirano fino a sera, senza farsi piegare… troppo… dalla vita.

Questa Lois non è né l’una né l’altra, sembra la nipote deludente di quella del ’78: è bruttina come la zia, esteticamente non sa di nulla, ma non ha neanche il naso importante o lo strabismo di Venere, e non è nemmeno troppo magra o troppo grassa… e figuriamoci! Però ha gli occhi azzurri, la pelle chiara e il fisico asciutto, che di questi tempi è l’unica carta importante da avere. Insomma la sua “normalità” dovrebbe essere mostrata dal suo aspetto fisico, un modello che risponde perfettamente al noto detto latino “in medio stat virtus” e che noi tradurremmo in un più greve “né carne né pesce”.

Per il resto non è certamente normale, perché fin dalle prime immagini dimostra di non aver affatto bisogno di alcun Superman. È ovviamente padrona della situazione, è più perspicace di chiunque, perché non ha bisogno nemmeno dell’inganno di Clark Kent: affronta subito di petto l’essere alieno che ha di fronte, senza scandalizzarsi più di tanto, perché non c’è tempo e bisogna affrontare le avversità, e poi perché in fondo, nel mondo di oggi, ci può stare anche uno che viene dallo spazio e che vola, sai che stranezza! Insomma: lei le ha già viste tutte!

Decide più o meno subito che quel granitico essere, sarà il suo compagno, perché è bello, di una bellezza statuaria, ma soprattutto perché mostra di avere un passato tormentato che lo rende “più umano” e per lei più affascinante. Perché?! Beh ma perché il tormentato di questi tempi si porta! Perché tormentato, soprattutto se in gioventù, vuol dire normalità, vuol dire essere dotato di sensibilità, vuol dire che risveglia l’animo della crocerossina, che pare nascosto in ogni donna… forse.
Insomma lei sta con Superman, perché è figo e fighi come lui ce n’è pochi, ma soprattutto perché è buono e tormentato e infatti ha un sorriso mesto e arrendevole, non certo di quello che capisce, ma di quello che chiede di essere capito e…

“E che cazzo, no, sei Superman, ma che ti devo anche capire?!”…scusate!

Quindi, alla fine, è lui che ha bisogno di lei, che lo consoli. Lei infatti lo consola e poi però lo manda a combattere, più come farebbe una madre che ti manda a scuola, nonostante la febbre, piuttosto che una compagna di vita.
Alla fine lui, quando ha raso al suolo tutta la città, senza badare a spese, insieme ai suoi amichetti casinisti, torna da mamma, quella vecchia, che lo ha adottato, e quella nuova che ne ha appena raccolto il testimone.
Lei, Lois, è più granitica di lui, ha poche espressioni e pochi sentimenti o se li ha non li mostra; anche quando permette a lui di abbracciarla, sembra che non ne abbia realmente bisogno, ma che sia un modo per consolare lui e mostrarsi comprensiva.

Insomma il massimo dell’indipendenza, un’iper indipendenza, anzi, una super indipendenza! Persino da Superman si può essere indipendenti, sappilo, ragazza del secondo millennio!
Un femminismo portato all’estremo, più che femminismo lo chiamerei autonomia assoluta, nel senso che ogni essere umano può fare a meno dell’altro.
Non sono davvero sicura che il modello femminile della ragazza del 2000 mi piaccia, così disincantata e corazzata, da essere quasi sola a gestire tutta la sua umanità.
Va bene cercare di farcela da soli, ma non credo che la parola indipendenza significhi necessariamente mostrare di non aver bisogno di nessuno, mai; saper chiedere aiuto è una virtù e l’aver bisogno l’uno dell’altro è il principio sul quale si fonda una comunità.

Forse perché non sono più una ragazza, ma io preferisco pensare che al mondo ci sia almeno una persona con la quale possiamo lasciarci andare, abbandonarci, e che essa non sia sempre e solo la onnipresente mamma.
Una persona con la quale puoi permetterti di essere debole, stupida e poco affascinante, perché ti ama oltre ogni limite in modo incondizionato, e che non sia nemmeno il solito tanto amato animale domestico.
Una persona che adora i tuoi difetti più dei tuoi pregi, che siano essi fisici o di carattere, perché si sente privilegiata ad esserne ogni giorno testimone, e lascia a te lo stesso privilegio: di vedere i suoi. Questo dovrebbe essere l’amore, indipendentemente dal fatto che sia per un uomo, una donna, un’amica, un amico. Qualcuno che vede chiaramente le tue imperfezioni e le considera il lato bello di te, tutto il resto, quello che è quasi perfetto, beh, lo vedono tutti, quindi… che gusto c’è?!

Una donna contemporanea non deve per forza affidarsi alle cure di un uomo, non più, non è così che ci piace identificarci, ma nascondere la propria “umanità” dietro ad una corazza inattaccabile è qualcosa che ci allontana dalla nostra essenza; una donna, in quanto individuo può avere il piacere e la libertà di affidarsi con confidenza alla solidità di un’altra persona, che sia essa un uomo o un’altra donna.

E non sono necessari i cosiddetti attributi, se non ne siamo state dotate, un motivo ci sarà, forse non sono così irrinunciabili!

Alla povera ragazza del 2000, appesantita da tanta responsabilità, direi una cosa molto ovvia, ma credo sempre efficace: “Stai tranquilla, che se anche ti sentissi improvvisamente di dover reggere il mondo da sola, non sei l’unica, perché a tutte le donne di questa terra, ogni giorno viene richiesto, senza tanti convenevoli, di sorreggere l’universo, il loro universo e quello degli altri. Quindi non cercare di nascondere le tue imperfezioni, né fisiche, né tantomeno caratteriali, perché sono il bello di te, ciò che ti rende affascinante e unica, la tua impronta digitale insomma.

La Terra ha tante ferite e cicatrici, eppure, a parer mio, resta ancora, senza ombra di dubbio, il pianeta più interessante dell’Universo.

Oprah Winfrey un’ispirazione

discorso oprah winfrey

Perché Oprah Winfrey potrebbe essere un’ispirazione per tutte noi! Perché in questo momento, come in molti altri, vorrei essere una donna americana e di colore e vorrei poter parlare di emancipazione femminile?

Perché oggi tutte dovremmo volere la pelle nera o voler essere Americane almeno per un giorno? A mio parere per il discorso illuminante che ha fatto Oprah Winfrey, nota entertainer della tv d’oltre oceano, alla serata dei Golden Globe Awards, dove ha ricevuto il premio Cecil B. De Mille alla carriera.

Magari gli Americani non vi piacciono, magari odiate gli Stati Uniti, magari vi piace di più l’Europa, preferite l’understatement degli Inglesi o la misura dei Tedeschi o l’eleganza dei Francesi oppure l’esuberanza degli Spagnoli o addirittura dei Latino Americani. Questo non ha nulla a che fare con quello che piace a voi o a me. Oggi tutte le donne del mondo dovrebbero almeno per un giorno, a mio parere, voler essere Americane, per poter magari in un futuro votare questa donna alle elezioni o comunque avere nel proprio popolo una donna così.

Non è per lei come persona, che vi può essere più o meno simpatica e potete trovare più o meno ammirevole, ma è per lei in quanto simbolo di qualcosa, lei e tutte quelle come lei, perché là ce ne sono tante, e ne abbiamo anche noi, non è che a noi manchino, però a noi manca l’essere Afro-americano, che non è essere Africano e non è essere Americano.

Essere Afro-americano è una cosa molto diversa, molto particolare, singolare, propria e con una storia, una storia abbastanza lunga, lunghissima per gli Americani, un po’ meno lunga per noi Europei, che conosciamo millenni di storia; una storia molto interessante per tutti, perché molto travagliata, perché piena di lotte coraggiose, di traguardi importanti, ricca di personaggi coraggiosi, uomini e donne apparentemente ai margini della società o comunque persone comuni, come le due donne che Oprah Winfrey nel suo discorso nomina: Recy Taylor e Rosa Parks.

Rosa Parks probabilmente molti di voi la conoscono, e se non la conoscete vi invito ad andare a vedere chi è stata; probabilmente non vi ricorda nulla il suo nome, ma dell’episodio di quella donna che ha rifiutato di lasciare il posto sull’autobus ad un bianco nel ’55 in Alabama (uno degli stati d’America più difficili per la convivenza tra bianchi e neri), magari ne avete sentito parlare. Beh questa donna dall’immenso coraggio si chiamava Rosa Parks ed era già un’attivista per i diritti civili degli Afro-americani, insieme al marito, anche prima di quell’episodio.

Recy Taylor è una donna meno conosciuta, che infatti Oprah Winfrey nel suo discorso invita tutti a conoscere, è un’altra donna dalla grande forza, che, dopo essere stata violentata da sei bianchi, ha rifiutato di tenere nascosta la cosa, li ha denunciati e si è fatta aiutare da Rosa Parks per affrontare la causa; ovviamente poi, dato che era solo il ’44 ed erano anche in quel caso in Alabama, non è successo niente, cioè i suoi attentatori non sono stati condannati e lei ha dovuto subire anche l’umiliazione di vedere che questi maledetti uomini sono rimasti liberi.

Io oggi vorrei avere la pelle nera per il discorso dalle note vibranti che Oprah Winfrey ha fatto, in merito a queste due donne e alla violenza su tutte le donne, prendendo spunto dal caso molto recente portato a galla dal movimento #MeToo.

Anche lei in fondo, Oprah Winfrey, ha avuto una storia difficile, perché figlia di una ragazza madre, cresciuta nella più infima povertà e provata in adolescenza dalle molestie maschili di parenti ed amici. Di donne afro-americane che hanno vissuto e sopportato una vita così ce n’è tante, ma non solo Afro-americane, anche Americane e anche Europee, senza parlare poi di quelle dell’est, dell’estremo Oriente o delle donne Africane.

Ma proprio perché in questi giorni si parla di violenza sulle donne in America, anche negli ambienti altolocati e in quelli dello spettacolo, il suo discorso, che tocca temi come la violenza, il razzismo e la disuguaglianza tra gli esseri umani, è illuminante per tutti e per tutte, non solo per le donne Afroamericane, non solo perché forse tra qualche tempo vedremo Oprah Winfrey presentarsi per la corsa alla Casa Bianca, ma perché anche per noi Italiane è d’ispirazione e non solo per noi donne, dovrebbe esserlo anche per gli uomini.

Chiaramente è un po’ sopra le righe, con toni da discorso presidenziale, ma perché gli Americani per noi sono sempre un po’ sopra le righe e perché lei è e vuole essere un po’ così, ma noi li possiamo anche accettare così per quello che sono, come noi Italiani siamo in un altro modo, come gli Inglesi sono in un modo ancora diverso.

Ma la potenza, la forza, l’entusiasmo, l’energia che Oprah Winfrey mette in questo discorso possono essere uno slancio per tutte le donne del mondo, perché ancora oggi, le donne di tutto il mondo si trovano a dover lottare contro la violenza, contro le molestie, le angherie, contro una forma di violenza meno palese dello stupro, ma comunque importante, come le vessazioni sul lavoro perché sei donna.

È un discorso purtroppo ancora molto attuale e, se proviene da una donna come lei, non che sia un idolo, non ho mai creduto negli idoli e non comincerò ora, che sono troppo grande per farmene, ha, credo io, una valenza maggiore.

Lei ripete più volte “Their time is up!”, e vuol dire che il tempo di questi uomini potenti o violenti è finito, probabilmente il suo intento è quello di  ampliare il discorso in modo che venga letto come “il tempo di tutta questa prevaricazione del sesso maschile sul sesso femminile è finito” e forse potremmo allargare il suo discorso non solo all’America e agli Afroamericani, ma anche a noi Europei e alle donne Africane e dell’estremo Oriente.

“Their time is up!”. Non ci arriveremo domani, non ci arriveremo neanche fra qualche mese o fra qualche anno, però io mi auguro che le nostre figlie possano gridarlo con fierezza e quasi al passato questo “Their time is up!”, perché c’è bisogno che finisca. L’emancipazione femminile in questo secolo passato è stata velocissima, come tante cose nel ‘900, quindi potremmo anche essere soddisfatte, però non lo siamo perché non dovevamo partire così, perché non si doveva partire da una disuguaglianza così smaccata, in teoria avremmo dovuto cominciare con gli stessi diritti da sempre.

Pazienza, è andata così, ma a noi donne di oggi spetta il compito di continuare, e come lo fa Oprah Winfrey, che è un po’ più vecchia di me, lo dobbiamo fare anche noi più giovani; continuare l’impegno, la battaglia, ogni giorno nelle piccole cose, come si dice spesso, per arrivare alla tanto agognata parità dei sessi. Una parità che purtroppo non esiste ancora in moltissimi paesi del mondo e nemmeno in America, che sembra sempre il paese più emancipato di tutti, più avanti di tutti.

Il fatto che il discorso venga fatto da una donna afroamericana è ancora più d’orgoglio per me, non perché anch’io sia di colore, purtroppo, ma perché, potrebbe essere un discorso utile e importante anche esposto da una donna bianca, ma fatto da una donna di colore è più forte, ha più energia.

È come se assumesse più significato, e ti rende ancora più orgogliosa di essere una donna, e in più, se sei una donna bianca, ti mette la voglia di essere di colore, perché ti sembra che loro abbiano più storia, più forza, più diritti di parlare e di alzare la voce e con essa la testa, proprio perché ne hanno passate di più; loro, le loro madri, le loro nonne e le loro bisnonne, hanno sopportato molte più ingiustizie di noi e delle nostre. Quindi da parte mia l’ammirazione è totale.

Vorrei avere la pelle nera e vorrei essere Afro-Americana, anche solo per un giorno!

Se volete vedere il discorso cliccate qui http://www.oprah.com/own/oprahs-acceptance-speech-at-the-golden-globes-full-transcript è in inglese ma comunque in internet lo trovate anche con i sottotitoli.