Le donne Yazide

Oggi ho visto un video sulle donne Yazide, sono una persona che cerca di tenersi informata il più possibile, ma non sono certo una che divora quotidiani dalla mattina alla sera, quindi per me le donne Yazide erano un’entità sconosciuta e lo dico con un velo di vergogna, chiaramente.
Non so quanti di voi ne conoscano l’esistenza, ma sono reali e sono una di quelle realtà che pochi conoscono e che invece sono da ammirare o da cui imparare qualcosa. Il video era un documento realizzato in occasione di una mostra fotografica promossa dall’Unicef, perché, come spesso capita quando sono nominate le donne, queste sono donne che soffrono e combattono, per questo dicevo che sono da ammirare. Sono tenute in campi profughi insieme ai loro uomini, figli, genitori, in Iraq, confinati dall’Isis; le foto sono belle, molto belle, perché danno la misura della sofferenza di questo popolo, ma anche della loro voglia di sopravvivere, di lottare e di tornare alle loro case, un giorno.

Ma il video era speciale, perché parlava delle donne combattenti: ragazze molto più giovani di me, più o meno ventenni o poco più, vestite come soldati, con un fucile sulla spalla, che in un momento di pausa dagli attacchi, si lasciavano andare a risate e chiacchiere con le compagne e con i giornalisti. Donne…ragazze…a cui viene negato tutto quello che potrebbero fare delle ragazze normali in un altro paese: andare al cinema, studiare, uscire con gli amici, innamorarsi, ridere, ballare, vivere l’età più bella a loro concessa dalla vita. No…sono lì e sono lì perché devono difendere i loro territori dall’Isis, devono difendere le loro famiglie con le unghie e con i denti in mezzo alle vie di una città, Raqqa, ormai allo stremo delle forze.

Avevano i volti segnati dalla stanchezza, di chi non può dormire mai, di chi ha visto troppo per la sua età, di chi non voleva vedere tutto quello, ma qualcos’altro, magari totalmente diverso; la stanchezza di essere senza una casa, di vedere morire accanto a te quelli che conosci, che ami, di vedere di fronte a te un nemico che non capisci e non vorresti nemmeno che lo fosse. Allo stesso tempo avevano lo sguardo pieno di orgoglio, di fierezza, perché loro sono lì, e lo hanno anche detto, sono lì in prima linea e stanno facendo un buon lavoro, dicevano, perché stanno resistendo bene e ce la stanno mettendo tutta per il loro popolo.

Belle ragazze, anzi bellissime, quelle bellezze vere, prive ovviamente di ogni tipo di trucco, che nei momenti di riposo sorridono stanche e si acconciano i capelli o si scambiano gli orecchini, vestite con la mimetica e con accanto un fucile di ultima generazione. Non meno femminili di qualche occidentale tutta agghindata con un vestito da sera, anzi, così tremendamente vere da apparire la vera essenza del significato di donna.
Il confronto con le nostre partigiane, quelle dei tempi di Anita o quelle come Luisa, la partigiana goriziana che l’accoglie in casa sua, viene facile; di diverso ci sono solo le armi e le tute, ma per il resto non sono affatto diverse: gli stessi sorrisi fieri, nei momenti di riposo, gli stessi volti segnati, la stessa determinazione e purtroppo anche la stessa età.
E per noi c’è la stessa tenerezza, che scopriamo in noi mentre le guardiamo, la stessa ammirazione, la medesima voglia di poterle aiutare, non perché imbracciano un fucile, perché magari non tutti noi siamo da guerriglia, ma per il loro coraggio e perché vorremmo che non fossero costrette ad essere lì.

Anita… mi dispiace, ma il mondo non è cambiato affatto! Io, come te, non ho imbracciato il fucile, ma perché, per fortuna, tu e quelle come te avete lottato per un mondo migliore e mi avete permesso di vivere in una realtà, dove studiare, divertirsi, innamorarsi, cantare a squarciagola e avere una famiglia è d’obbligo, per le ragazze poco più che ventenni.
Poco più in là però, non troppo lontano da noi, le ragazze sono come quelle che conoscevi tu e io non posso farci nulla e l’unica cosa che mi verrebbe da fare è abbracciarle tutte, per trasmettere loro il mio affetto e la mia stima, e dir loro che, almeno, quello stanno facendo oggi servirà per dare alle loro figlie e nipoti un futuro migliore…chi lo sa poi se sarà così, me lo auguro!