40 anni e sentirli eccome

Provate a dire a una donna che deve compiere quarant’anni?
Provate a chiamare “signora” una donna di quarant’anni?
Provate a dirle che “…quando era giovane…”?
Provate a chiamarle quarantenni… no non ci provate, che siate uomini o donne, lasciate stare, glissate magicamente, trovate una scorciatoia, un altro modo, passate ad un altro argomento.

Non so se siano peggio dei 50, della menopausa e di tutto quello che comporta essere sulla cinquantina per una donna, ma i quaranta sono un vero e proprio gradino, che a tratti può diventare anche un gradone!

È pieno di testi e citazioni sui 40 anni per una donna, quindi sono sicura di non esprimere niente di nuovo; forse il nuovo è avere 40 anni ora, in questi anni, in questo periodo! Una volta avere 40 anni per una donna poteva essere un traguardo importante, uno status, che dava un senso di maturità, di compiutezza e di orgoglio. Non ne ho idea, forse le donne questa età l’hanno sempre vissuta male; una volta, tra l’altro, a 40 anni non potevi più nemmeno con tanta leggerezza avere figli e, se ne avevi, beh non dovevi certo essere al primo, altrimenti ti guardavano quasi con vergogna.

Adesso da quel punto di vista è tutto cambiato: molte donne hanno figli a 40 anni e con che fierezza spesso, è inutile dire che per molte cose l’età si è spostata. Se da una parte abbiamo le teenagers alla scuola media che si atteggiano da donne, dall’altra abbiamo le quarantenni, che cercano con tutti i mezzi di tirare indietro le lancette dell’orologio, di parecchie settimane e mesi!

Non ci sentiamo adeguate? Non è la nostra età? Cioè è quella anagrafica, va bene, ma dentro ci sentiamo ancora delle ragazzine? Perché tanta paura per un numero qualunque? Perché tanto sdegno per una parola, “signora”, che in fondo ci dimostra una forma di rispetto nei nostri confronti? Perché quasi ci sentiamo infastidite quando ci danno del “lei”, e se invece ci danno del “tu” vorremmo metterli al loro posto, perché “…come osi ragazzino impertinente col moccio, o ragazzina tutta curve, che tanto poi, stai tranquilla, ti cadranno prima che a me?!”.

Non siamo né carne né pesce? Fatica, abbiamo fatto tanta fatica per arrivare fino a qui; abbiamo studiato, lavorato, sopportato forse mariti e figli piccoli, siamo sempre di corsa, tra scuola, lavoro, casa, vita, serate (difficilmente), e sentiamo di avere sempre meno tempo per noi stesse. Il sogno di molte è avere un’enorme vasca calda dove immergersi in silenzio e non sentire più nessuno per lungo tempo, non dover guardare l’orologio e non pensare a nulla! O meglio ai c…i nostri!

“Seconda giovinezza” ci dicono i più vecchi, con quell’aria del “beata te”, che non ti consola affatto, ti fa sentire solo più sola; “seconda giovinezza” ci dicono i più giovani, con quel sorrisetto beffardo, che non ti consola affatto, ti fa sentire solo più arrabbiata, perché “lui/lei che ne sa?!”. Seconda giovinezza un cavolo, perché devo passare alla seconda? E la prima?? Perché non posso continuare la mia prima? Io non volevo passare in seconda! È come essersi pagate un viaggio in prima classe, di lusso, con tutti i comfort e le hostess che ti lusingano, e sentirti dire improvvisamente: “seconda classe signora, prego!” con uno smagliante sorriso, come fosse un privilegio.

Come seconda classe?! No, perché? Io ho pagato per la prima, avete sbagliato, ci dev’essere un errore! Io DEVO stare in prima classe, io DEVO godermi la mia giovinezza, perché è finita?! Non l’ho chiesto! E poi perché quel sorriso?! Cos’è? Mi vuoi dire che sono fortunata, perché passo alla seconda giovinezza?! Ma fattela tu la seconda giovinezza, io sto bene con la mia prima!

Poi, se sei fortunata, esci la sera, vai nei locali per ballare e ti accorgi che, anche se è venerdì, e quindi non il sabato, che è la serata degli scolari, quelli che ti stanno accanto sono tutti più giovani di te, ma anche di parecchio! Ok allora magari vai alle serate revival… perché alle revival? Io non sono mica un revival! Cioè, adesso mi volete dire che la musica che io ascolto da sempre, che mi piace, mi scatena, mi fa ballare, mi dà quell’energia che mi sento scorrere dentro come un fuoco e mi fa sentire libera… è già da revival?! Aaahhhh!!!

E poi la palestra… perché ci DEVI andare, perché se a 40 anni non vai in palestra o non fai almeno un po’ di attività fisica, chiunque ti dice che ne hai bisogno, guardandoti anche con un po’ di rimprovero, perché “insomma non ti tieni in forma!”. Tu ti guardi da capo a piedi e non ti facevi così schifo, prima di vedere quell’espressione nell’altro! Ok vado in palestra: le palestre sono piene di donne, di tutte le età, che si dannano, sudano, si sfiancano pur di perdere quei 2-3 chili che già basterebbero, pur di non vedersi sui fianchi quella cellulite, di cui tutti parlano e che forse prima del 1950 nessuno sapeva esistesse!

“…5-6-7-8, muoversi, via, dai, coraggio, tira su quelle braccia, fuori il sedere, allarga le spalle, dentro il bacino, schiaccia l’ombelico contro la schiena, fai andare quelle gambe, ancora, ancora, sinistra, destra, piega le ginocchia, alza la testa…”; credevi di essere minimamente intelligente e istruita e invece ti senti una perfetta deficiente, dai riflessi pure un po’ lenti; non capisci dove cavolo devono andare quelle gambe, che sono attaccate al tuo bacino, e come diamine devi mettere il sedere e l’ombelico! Sudi, ti guardi in giro e vedi che signore molto più attempate di te, sanno perfettamente cosa fare e lo fanno anche con poco sforzo. C’è qualcosa che non va!!! Torni a casa distrutta, ti pesi e lanceresti la bilancia dalla finestra, se solo non fosse costata un occhio della testa, perché quella che credevi un’amica ti ha consigliato di prendere la bilancia che distingue massa grassa da massa magra, perché “…così puoi controllarti meglio!…”.

Adesso hanno coniato anche un nuovo nome per definirci: gli Xennials, esseri viventi, via di mezzo tra la Generazione X e i Millenials, che sono quelli di adesso. Gli Xennials, che hanno vissuto l’invasione prepotente di internet, tablet e smartphone e si sono dovuti aggiornare e adattare alla velocità della luce, prima di perdere il treno per sempre e non essere nemmeno in grado di accendere un computer! Quelli che ancora non sanno bene se sentirsi a loro agio quando si fanno un selfie, ma se lo fanno perché così si sentono giovani! Gli Xennials, che gli studiosi non hanno ancora ben capito se siano molto fortunati, perché hanno visto il mondo del telefono col filo e la rotella, e allo stesso tempo hanno un profilo Facebook per chattare con gli amici, o siano molto sfigati, perché questa dicotomia li ha resi un tantino schizofrenici!

E quel disgraziato, che tutti abbiamo studiato, diceva “…nel mezzo del cammin di nostra vita…” e ne aveva 35! Va beh per fortuna lui era del 1300, però ne son passati parecchi di secoli, possibile che si sia spostato solo di cinque anni il mezzo del cammin di nostra vita?!

Non sono una signora

“Non sono una signora” cantava la Berté, era uno dei pezzi che adoravo, la cantava a squarciagola e con una fierezza da far invidia. Era il 1982, avevo solo cinque anni, ma mi dava una carica, che mi veniva voglia di ballare per tutta la stanza! Era fantastica, non per niente l’aveva scritta Ivano Fossati!
L’altro giorno camminavo per andare dal giornalaio e, dato che ero di fretta, tagliai e presi la via del prato, invece di seguire il marciapiede. Mi ritrovai a guardare i miei sandali, che passavano in mezzo all’erba e sentivo sui piedi la dolce sensazione di trovarmi a piedi nudi in mezzo ad un prato, in estate. “Non sono decisamente una signora”, mi venne da pensare, una signora non avrebbe mai preso la via del prato, col rischio di sporcarsi i sandali o i pantaloni o di bloccarsi col tacco. Quest’anno compio quarant’anni e dovrei finalmente esserlo una signora, si addice alla mia età.

Anita non ne aveva ancora quaranta quando ha affrontato il viaggio in cerca di Mario, non ne aveva ancora quaranta quando andava in bicicletta sotto le bombe da Genova a Borgofornari, dove la famiglia era sfollata, non ne aveva ancora quaranta quando ha nascosto i suoi figli sotto il letto e affrontato i Tedeschi ubriachi, che pretendevano una cena. Io non credo che sarei stata capace di affrontare tutto quello; forse ognuno di noi ha una forza dentro di sé, che può essere più o meno, a seconda del carattere, forse invece sono le situazioni di fronte alle quali ci troviamo, che ci trasmettono la forza per affrontarle, forse uno il coraggio ce l’ha fin da piccolo o forse se lo costruisce man mano.

Anita era una donna forte, coraggiosa, ma probabilmente tutto il coraggio che ha dovuto sfoderare, per superare quelle situazioni così difficili, l’ha consumata e l’ha resa più fredda, rigida. Tutti noi di fronte a grandi prove della vita, una volta superate, ci ritroviamo più rigidi, più coriacei, più insensibili, per autoconservazione, per non perdere pezzi di noi, per non essere nuovamente offesi da un altro dolore, da una nuova sofferenza.

Il mondo di oggi non è così difficile come quello di Anita, eppure anche oggi abbiamo le nostre montagne da scalare, i nostri ostacoli da superare e le nostre ferite da curare. Forse anch’io come Anita negli anni sono diventata più severa, mi sono irrigidita, per non soffrire più, per non essere così gratuitamente esposta al dolore, il mio fisico è meno elastico ed io con lui.

Forse… o forse no, forse ho imbrogliato il tempo, non fisicamente, è chiaro, ma mentalmente sì: scrivere “Anita” mi ha fatto esplodere e ritrovare la famosa linfa vitale di cui tutti parlano; non mi ha reso più giovane allo specchio, ahimé, ma mi ha sciolto tutta quella rigidità accumulata negli anni, mi ha permesso di dare meno peso a tante cose e dare importanza ad altre. Di ragionare su alcune cose vissute, di vederle con altri occhi: guardare nel passato è un po’ come guardare dall’alto, vedi gli avvenimenti da un’altra prospettiva e cambi l’opinione che ti eri fatta.

Anita, come me, non era una signora; certo, non metteva i pantaloni volentieri, solo gonne, portava i tacchi, anche se tacchi piuttosto bassi, ma non erano i tempi del tacco 12, si vestiva sempre in modo distinto e mai trasandato, ma, se c’era bisogno, era capace di adattarsi alle situazioni e di sporcarsi i pantaloni ed anche le mani!

Forse essere signore non è quello che intende la Berté, o meglio forse le vere signore non sono quelle che si vestono in modo distinto e non si macchiano, forse essere una signora vuol dire essere “…una per cui la guerra non è mai finita…” e che ogni giorno, con coraggio affronta le piccole difficoltà quotidiane, senza perdersi mai.

Di una cosa sono sicura: io non lo sono ancora diventata una signora e non credo che lo sarò mai, penso che continuerò a cantare a squarciagola e a passare per i prati!